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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Via del Tempio della Pace   (R. I – Monti)   (da via dei Fori Imperiali a via del Colosseo)

La via del Tempio della Pace, iniziando da via del Colosseo, giungeva alle rovine della basilica di Costantino (Basilica di Massenzio).
Oggi, dopo la costruzione di via dei Fori Imperiali [1], termina al limite di questa.

Il giardino Rivaldi, che oggi la fiancheggia in parte, mentre prima si univa al tempio progettato da Massenzio (306-312), fu da Alessandro de’ Medici, che lo aveva acquistato nel 1567, abbellito specialmente per opera di Giacomo Del Duca (1520-601) che "creò nella villa le nicchie con sfondo di personaggi dipinti, incorniciati da fasce di piccole pietre e smalti, per accogliere le statue; mentre altri artisti toscani intagliarono per la casa i magnifici soffitti a cassettoni, con gli stemmi medicei".
La casa, che era stata già di Eurialo de’ Silvestri [2], doveva avere la chiesa di Santa Maria della Scala, racchiusa entro il palazzo di "messer Eurialo".
Nella tassa di Pio IV (1559-65), imposta alle chiese della città, Santa Maria della Scala è qualificata, fra quelle del rione Monti, come, a quell'epoca, già rovinata, ciò che depone della sua antichità.

Tempio della Pace - Il Foro di Vespasiano (69-79 d.Ch.) [3] dava il nome alla IV regione augustea e si componeva di un portico quadrangolare, in fondo al quale sorgeva un tempio dedicato alla Pace, eretto dallo stesso Vespasiano nel 75 d.Ch.., dopo la vittoria sui Giudei e la pacificazione dell'Oriente.
Nella  costruzione  del Foro  fu interrotta la breve  strada che, dalle Carine [4], si riallacciava  [5] al tempio dei Lari (Aedes Larum), sito sulla Velia [6], non lontano dal Foro [7].

Del Tempio della Pace [8], che Plinio annovera fra i monumenti più belli del mondo, è stata ritrovata una nicchia sotto la Torre dei Conti e, dalla parte del Foro Romano, un piccolo tratto di pavimento che faceva parte del peristilio della piazza. C’è poi la grande aula con piccole nicchie nelle pareti, che fu trasformata da papa Felice IV (526-30) nella Chiesa dei Santi Cosma e Damiano

Identificata nella suddetta aula la "Bibliotheca Pacis[9], ch’era stata finora creduta il templum Sacrae Urbis, è stato riconosciuto, nella parete esterna della detta Bibliotheca, che le grappe (le cui tracce sono sul muro esterno) sostenevano la "Forma Urbis[10] nella  sua  seconda edizione, compilata da Vespasiano (69-79) o da Domiziano (81-96).
La prima edizione sembra fosse stata disegnata da Agrippa (+ 12 a.C.) nella “porticus Vipsania” (avanti al Campus Agrippae) insieme ad una grande pianta dell'impero (Orbis pictus).
La terza edizione, che ci è in parte pervenuta, e che è conservata nell’ “Antiquarium”, è opera di Settimio Severo (193-211) e di Caracalla (211-217).

La sala opposta a quella della "Forma Urbis”, poteva contenere la seconda biblioteca (erano 2, una greca ed una latina separate fra loro) e non si esclude che per simmetria alla "Forma Urbis” esistesse nella biblioteca di nord-est una pianta dipinta dell'Impero romano, simile "all’Orbis pictus” di Agrippa.

Il Foro sorse dove, al tempo della Repubblica, era stato il grande "Macellum[11], adiacente al Foro Romano. Di esso sono stati scoperti alcuni muri in opera quadrata di tufo sotto il pavimento del Tempio della Pace.
Verso nord-est, isolando le "Colonnacce del Foro di Nerva”, è venuto in luce una parte del muro terminale del Tempio della Pace costruito in grandi blocchi di peperino, come quello del Foro di Traiano.
Il lato opposto (sud-ovest) doveva essere simile; mentre differenti erano i lati nord-ovest e sud-est.

Il lato verso la Suburra, adiacente al Foro di Nerva” e alla "Porticus absidata aveva un colonnato molto aderente al suddetto Foro, una colonna del quale, in marmo africano e del diametro di metri 1,20 (altezza metri 12), è oggi in un'aiuola di via dei Fori Imperiali.
Dalla parte della Suburra era l'ingresso principale, anzi gli ingressi, perché 3 erano quelli verso il "Foro di Nerva" e uno verso la "Porticus Absidata”, posta dietro il tempio di Minerva [12]. Era perciò il lato di fondo, quello addosso alla Velia, che veniva a collegarsi, verso destra, con la sala della biblioteca che si trovava nell'angolo sud.

Dinnanzi al doppio colonnato della fronte, doveva essere: o la grande ara o la fontana descritta da Procopio (VI sec.), sulla quale poggiava il bue di bronzo, opera di Fidia (metà del V secolo a.Ch.) o di Lisippo (seconda metà del IV secolo a.Ch.).

Il monumento, decorato da Vespasiano con le migliori opere di pittura e scultura dei maestri greci, bruciò nell'incendio commodiano del 191. Ricostruito da Settimio Severo (193-211), durò circa altri due secoli, ma colpito da un fulmine, non fu riparato ed Alarico (410) e Genserico (455), che, asportandone le cose preziose ivi contenute, lo resero deserto, finché non ebbe il colpo di grazia col terremoto del 408, quando: "in foro Pacis per dies septem terra mugitum dedit”.

Nel tempio erano conservati cimeli riportati da Tito da Gerusalemme che si vedono nel suo arco di trionfo da cui inizia la via Sacra ("summa via”,  “clivus Sacer” dei poeti).

Vespasiano (69-79) [13] aveva depositato nel “Templum Pacis", da lui condotto a termine nel 75, i capi d’oro del bottino sottratto dal tempio giudaico di Gerusalemme [14] (compreso il candelabro dalle 7 braccia).
Invece le cortine del tempio di Gerusalemme ed i libri sacri erano sul Palatino [15].

Nel V sec. si affermava sul “Breviarium[16] esservi in Roma “25 statue in bronzo della famiglia di Abramo, Sara e Agar trasportatevi da Vespasiano dopo distrutta Gerusalemme, simbolicamente le porte di essa ed altri oggetti di bronzo”.

La sorte toccata posteriormente agli oggetti del tempio giudaico, specie al candelabro (Lychnuchus) , dopo che vennero trasportati in Africa [17], è oscura.
Secondo Procopius (de bello vandal) il generale Belisario (505-65), conquistata Cartagine, avrebbe portato a Costantinopoli tutto quello che rinvenne; l’Imperatore Giustiniano I (527-65) poi, avrebbe spedito questi avanzi a Gerusalemme ad una di quelle chiese cristiane e quindi sarebbero finiti in mano Araba.

Nel medio Evo invece la basilica del Laterano diceva di possedere il candelabro, l’arca dell’alleanza ed altre insigni reliquie del giudaismo [18], precisandone la provenienza da un  dono di Costantino Magno. Ciò risulta dalle “Mirabilia” dal “De Lateran Basil” di Giovanni il Diacono, ma non dal “Liber pontificalis” ove sono i cataloghi autentici dei doni fatti da Costantino alla Basilica.

Chiesa dei Santi Cosma e Damiano - Il Papa Felice IV (526-30), sotto il governo di Amalasunta (526-34) ebbe in dono due fabbricati da lui domandati per trasformarli in una chiesa dedicata ai due martiri della Cilicia: Cosma e Damiano.
La fabbrica più grande era il “templum saerae urbis[19] e la più piccola il “tempio di Romolo[20], il figlioletto di Massenzio, che appena terminata fu invece dedicata come monumento onorario profano a Costantino.
Felice IV (526-30) ne fece il vestibolo della chiesa propriamente detta, praticando un passaggio fra le due.

I SS. Cosma e Damiano medici “gratuiti” erano chiamati col titolo d’onore “anargyri” ed ebbero, già dal Papa Simmaco (498-514), dedicato un oratorio vicino alla basilica esquilina.

______________________

[1] )            La via dei Fori Imperiali, già dell'Impero, fu inaugurata il 28 ottobre 1932, nel decennale dell'Era Fascista.

[2] )            Dopo i Silvestri e i Medici l’ebbero i Colonna e Monsignor Rivaldi che alla sua morte (1660) lo donò alle Mendicanti del Santissimo Sacramento.

[3] )            Il nome proprio dell'edificio era “Templum Pacis” o “Pacis opera” (Plinio – Naturalis historia) e solo nel tardo impero si chiamò “Forum Pacis o Vespasiani”.

[4] )            Carinae = da carena di nave = per similitudine a carina = guscio di noce.

[5] )            Il tempio dei Lari e dei Penati sorse sul luogo dove erano prima esistenti le case di re Anco Marzio e Tullio Ostilio, mentre altre case vi possedettero Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo e poi il primo dei consoli Valerio Pubblicola (+503 a.C.) che cedette in seguito il posto al tempio di Vica-Pota = Vittoria. Secondo gli antichi autori, i leggendari re di Roma avrebbero abitato: Romolo (753-716), presso Faustolo; Numa Pompilio (715-672) dove sorse la Regia nel Foro; Tullio Ostilio sul Velia ai piedi del Palatino “in summa sacra via” (Dopo l’assassinio di lui, “ex superiore parte aedium per fenestras in Novam viam versas – habitabat enim rex ad Iovis Statoris – populum Tanaquil adlogitur”).  L’abitazione che fu pure del re Anco Marzio (640-616). Dice Livio I,30: “Duplicatur civium numerus; Caelius additur urbi mons, et quo frequentius habitaretur eam sedem Tullus regiae capit ibique habitavit”.  Ed al capitolo 31 dello stesso libro I scrive che la regia fu poi, insieme al re, folgorata da Giove. Presso il tempio di Giove Statore, abitò sul Palatino Tarquinio Prisco (616-578), etrusco oriundo greco, ed avanti alla sua casa sorse la statua equestre della vergine Clelia (Livio II, 13). Servio Tullio ”super clivum Orbium”, nell’Esquilino, dove cercò di rifugiarsi dopo la drammatica scena avvenuta nel Comizio fra lui ed il genero Lucio Tarquinio. Fu appunto raggiunto ed ucciso, mentre saliva per la strada che dalle Carine portava alla sua dimora. Strada che fu detta "vicus Sceleratus"  (così venne chiamato l’attuale via di S. Francesco di Paola, al ricordo dello scellerato crimine compiutovi dalla di lui figlia Tullia (534 a.C.). Lucio Tarquinio, detto il Superbo, abitò, sempre secondo la tradizione, ove aveva già abitato Tarquinio Prisco, presso il tempio di Giove Statore. I nomi dei re Sabini e Latini non appaiono che nel racconto della tradizione leggendaria, quello dei re Etruschi sono documentati da monumenti storici; i nomi Tarchu (Tarquinius) e di Masterna (Servius Tullius), appaiono nella pittura della tomba François di Vulci del secolo IV.

[6] )            Si vuole abbia preso tal nome da uno stagno esistente nella valle fra questo colle, il Celio e l’Esquilino, stagno che, convenientemente sistemato da Nerone, formò il lago della sua Domus aurea.

[7] )        Sempre sulle pendici, della Velia, tra il Foro e il Palatino, sorgeva la "Aedes o Sacellum Larum” che Tacito (55-120) indica ai confini est della città quadrata: "... initium condendi, et quod pomerium Romulus posuerit, noscere haud absurdum reor. Igitur a foro boario, ubi aereum tauri simulacrum adspicimus, quia id genus animalium aratro subditur, sulcus designandi oppidi coeptus, ut magnam Herculis aram amplecteretur. Inde certis spatiis interiecti lapides per ima montis Palatini ad aram Consi". (L'antichissima ara del dio Conso che era nella valle Murcia, ed il suo culto, come protettore delle biade, doveva essere celebrato all'aperto. In suo onore venivano celebrate le Consualia. Avvenne durante queste feste il ratto delle sabine. L’ara restò poi sulla spina del circo). Si ha la prima notizia storica del tempio nel 106 a.C. nei pressi dell'arco di Tito.

[8] )            i greci lo chiamano τέμενος Είρήνης = il sacro recinto della Pace.

[9] )            Nominata da Gellio, l’autore di Noctium Atticarum (II sec. d.C.), ha nella Chiesa dei Santi Cosma e Damiano una delle sue aule. (L’altra non ha lasciato tracce). Identificata per un “templum sacrae Urbis”, del quale non c’è indizio nelle antiche fonti, l’edificio aveva il suo ingresso principale a occidente, ove fino al XVII secolo era conservato tutto il muro di tufo, simile a quello del lato opposto, e un portico di otto colonne. Nel 1640 Urbano VIII fece demolire questo lato e dei blocchi si servì per completare la chiesa di Sant’Ignazio. Della “Forma Urbis”, che con grappe, delle quali si vedono tracce nei mattoni della parete nord-est dell’edificio, era attaccata alla detta parete, era conservata la copia originale su papiro o pergamena nella biblioteca stessa, che sembra custodisse pure i libri del catasto ed altri simili documenti. L’abside fu aggiunta all’aula da Papa Felice IV (537-530), che vi fece comporre quei mosaici che si vedono tuttora, mentre quelli delle pareti scomparvero nei restauri di Urbano VIII che fece pure rialzare il pavimento di un piano intero a causa dell’umidità. Del lato demolito dal detto Pontefice, lato che aveva un’aula fornita di nicchie rettangolari nella parte inferiore delle pareti e di finestre in quella superiore, ci restano la descrizione del Panvinio (1529-68) e i disegni del Ligorio (1510-83). Detta aula, scomparsa, si trovava a contatto del Tempio del Divo Romolo che Felice IV usò infatti come vestibolo della sua Chiesa.

[10]           La Forma urbis  severiana, del II e III sec., saldamente murata nella parete Nord-Est del tempio “Sacrae Urbis” (chiesa dei Santi Cosma e Damiano), serviva alla custodia dell’archivio censorio e dei disegni del catasto. La pianta severiana, scolpita in marmo, insieme alla parete che l’accoglieva, misuravano 20 metri in larghezza e quasi 18 in altezza, e sembrava avesse il rapporto di uno a duecentocinquanta ed aveva a base la nuova misurazione fatta eseguire da Settimio Severo.
Era la base grafica del catasto che fu fondato a completamento delle varie leggi, a partire da quella "de urbe agenda" promulgata nell'anno 709 di Roma (44 a.Ch.) e dei regolamenti edilizi che stabilivano le limitazioni alla fabbricazione.
Leggi e regolamenti erano creati da quelle numerose istituzioni che costituiscono una vera magistratura edilizia come quelle degli aediles, vicomagistri, dipendenti dal prefectus urbis, dal curator aequarum, dai curatores alvei Tiberis, ecc.

[11] )            « Macellum » era il grande mercato pubblico dove i campagnoli e i mercanti portavano ciò che volevano vendere. “Macellum magnum” è poi creduto (ora non più) l'edificio sul Celio, trasformato nella Chiesa di Santo Stefano Rotondo (vedi Via di S. Stefano Rotondo - Monti).

[12] )            Fu anche detto “Forum pervium” dove la « aedes Minervae eminentior consurgit et magnificentior ».

[13] )            Amor et deliciae humani generis = suo soprannome.

[14] )            Ultima sollevazione ebraica 130-135 (Giulio Severo). Esclusi da Gerusalemme, fu permesso  agli  ebrei,  per un  solo  giorno  dell’anno,  di  andare  a  piangere sulle rovine (Muro del pianto). Adriano aveva (130) riedificata Gerusalemme chiamandola “Aelia Capitolina”.

[15] )            Tito nell'anno 70 della nostra era,  pose l'assedio a Gerusalemme, la prese e la fece demolire. L’incendio distrusse il tempio dalle fondamenta. Tito, che voleva salvarlo, non vi riuscì verificandosi il predetto da Gesù Cristo: Non sarebbe rimasta pietra sopra pietra del sontuoso edifizio. “Due sacerdoti gli consegnarono due candelieri, delle mense, delle coppe, e degli altri vasi d'oro assai massicci e di gran peso; ed oltre a ciò degli abiti pontificali colle loro gemme, delle tappezzerie preziose, e molti aromi e profumi, oltre molte altre cose destinate al servizio del tempio. Quindi Tito, nell'anno 71, fece un’entrata trionfale in Roma con Vespasiano suo padre. Fra le ricche spoglie, che si videro in quella cerimonia, le più ragguardevoli erano quelle che furono prese nel tempio di Gerusalemme: la mensa d'oro che pesava (valeva) molti talenti, il candeliere d'oro in 7 rami superbamente lavorato, molti vasi sagri d'oro e d'argento, la legge degli ebrei, il gran volume di pergamena riccamente inviluppato, riguardata come la più preziosa e più venerabile delle spoglie. Questo libro fu conservato nel palazzo imperiale, colle tappezzerie di porpora che avevano servito al luogo santo. I vasi e gli altri ornamenti del tempio furono posti nel Tempio della Pace (V.),fatto fabbricare da Vespasiano nel Foro romano…” (Dizionario di erudizione Storico-Ecclesiastica – Gaetano Moroni – 1858).

[16] )            Breviarium ab Urbe condita.

[17] )            In seguito al saccheggio dei Vandali nell'anno 455, che lo avrebbero portato nella loro capitale.. Cartagine.

[18] )            Così pure : le due tavole della legge, il bastone di Mosè, la verga di Aronne, l’urna d’oro contenente la manna del deserto ed il tutto secondo una lapide del tempo di Nicolò IV (1288-92) sarebbero stati nascosti sotto l’altare di Silvestro. La stessa lapide dice che le 4 colonne bronzee portate da Tito, 2 erano nel tempio di Salomone (chiamate Jakin e Boaz) e 2 nel tempio Fenicio di Baal-samen in Tiro.

[19] )            Il salone quadrato dell’archivio civico catastale, era invaso, in parte, dalla biblioteca del Tempio della Pace.

[20] )            Il "templum sacrae urbis" e la rotonda di Romolo (figlio di Massenzio) sul Foro, erano edifici che avevano più carattere profano che religioso, né erano templi propriamente detti.
Infatti nel primo, si costudivano i libri del catasto e delle gabelle, e perciò nel suo fianco, che guardava il Foro della pace, era affissa, dall’alto al basso, la grande pianta dell’Urbe incisa in marmo. Il tempio di Romolo era destinato, sotto Costantino, come monumento a memoria ed onore della sua Famiglia, affine di magnificare e celebrare la sua Casa Flavia e quindi aveva tutto il carattere di monumento onorario piuttosto che edificio religioso.

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